“L’ultimo treno della notte” (1975)


 “La società dovrebbe creare i presupposti della non violenza”.

L’ultimo treno della notte (all’estero conosciuto come Last Stop on the Night Train) è un film del 1975, diretto da Aldo Lado, dichiaratamente ispirato a The Last House on the Left (Wes Craven, 1972) e a La polizia sta a guardare (Roberto Infascelli, 1973). Fa parte del filone rape and revenge, di cui è considerato il capolavoro italiano insieme al successivo La casa sperduta nel parco di Ruggero Deodato (1980).


Trama:

La sedicenne Lisa Stradi (Laura D’Angelo) e la coetanea cugina Margaret (Irene Miracle) partono dalla Germania per tornare in Italia per le feste di Natale. Durante il viaggio aiutano due balordi (Flavio Bucci e Gianfranco De Grassi) a nascondersi alla vista del controllore, dal momento che questi sono senza biglietto, saliti sul treno all’ultimo istante per fuggire ad un poliziotto; malauguratamente diventano vittime delle attenzioni dei due. Uno dei due, dopo aver tentato la violenza carnale su una donna presente sul treno (Macha Meril), intuisce che questa è una ninfomane con qualche tara mentale e le permette di unirsi a loro.

Per fuggire ai maniaci le due ragazzine cambiano treno, ma non sanno che anche i due, trovati senza biglietto, sono stati costretti a fare altrettanto e si ritrovano sullo stesso convoglio. In una sequenza di altissima tensione, le due ragazze subiscono la visita del trio di criminali, che le costringe ad assistere alle loro pulsioni sessuali, per poi seviziarle e violentarle ripetutamente. Al trio si unisce anche un voyeur presente sul treno, che viene invitato dalla signora a partecipare in prima persona allo stupro delle ragazzine. Dopo tali aberrazioni per le due ragazzine giunge la morte: Margaret viene uccisa da uno dei balordi con una coltellata nella vagina, mentre Lisa tenta di fuggire ai suoi aguzzini e, nel vano tentativo di salvarsi, si suicida gettandosi dal treno in corsa.

Una volta giunti a destinazione (che è la fermata nella quale dovevano scendere le due ragazzine, visto che i balordi avevano preso i biglietti delle malcapitate dopo averle uccise), i tre criminali incappano nel padre di Lisa (Enrico Maria Salerno) il quale, notando che la signora è ferita al ginocchio, essendo medico si incarica di curarla nell’ufficio della sua villa. Ma quando egli apprende dalla radio il tragico ritrovamento del cadavere della figlia e la madre si accorge che uno dei balordi indossa la cravatta che Lisa voleva regalare al padre come regalo di Natale, la sua cieca violenza si scatena sui balordi, che verranno brutalmente assassinati.


Commento:

Il regista Aldo Lado si è sempre distinto all’interno del panorama thrilling italiano anni settanta per aver proposto, sin dai suoi primi film (i cult La corta notte delle bambole di vetro, 1971, e Chi l’ha vista morire?, 1972) una veemente critica sociale verso la società benestante-borghese, sapendo mettere argutamente in rilievo le sue contraddizioni e le sue aberrazioni. Non sorprende quindi che quando la prima pellicola di Wes Craven The Last House on the Left arrivò anche nelle sale italiane Lado venne immediatamente e magneticamente rapito dalle tematiche e dallo scioccante impianto scenico ideato dal regista statunitense, che mostrò al pubblico come la violenza sia irrimediabilmente insita nella natura umana, sia nei derelitti della società (drogati, sbandati) sia nelle persone più insospettabili.

L’ultimo treno della notte, sesto film del regista, è infatti – fin dal titolo – proprio un rifacimento all’italiana di The Last House on the Left.I punti di contatto sono tantissimi, e sotto gli occhi di tutti. Le protagoniste (malaugurate) della storia sono due ragazze adolescenti di buona famiglia che iniziano ad assaporare le prime libertà (anche sessuali), ma finiranno brutalmente violentate ed assassinate da alcuni balordi (anche qui come nel film di Craven, oltre a due uomini, c’è anche una donna tra la banda di aguzzini), che poi si libereranno alla meno peggio dei loro cadaveri. Ma la vendetta è dietro l’angolo: la banda di criminali finirà casualmente ospite proprio dei genitori di una delle due ragazzine che, una volta appresa la tragica fine dell’amata, renderanno loro pan per focaccia. E’ identico anche il modo in cui la madre capisce la verità: nel film di Craven grazie ad una collanina regalata alla figlia, qui grazie ad una cravatta che la figlia avrebbe dovuto regalare al marito.

Nonostante il plot pecchi di originalità e siano quindi evidentissimi i richiami al film di Craven (al punto di poter persino parlare di un quasi-remake), sono le differenze rispetto all’originale che conferiscono a L’ultimo treno della notte un valore aggiunto. Aldo Lado seppe infatti infarcire la sua pellicola di una componente di critica sociale che Wes Craven riuscì a trattare solo marginalmente. Fulcro centrale di questa lettura di denuncia è una scena apparentemente secondaria, che mostra i genitori di una delle due sfortunate ragazzine (il padre un noto chirurgo, la madre una donna borghese frustrata e ripetutamente tradita dal marito) discutere durante una cena con amici del problema della violenza in Italia. Il più garantista tra gli ospiti accusa anche la classe borghese e la società in generale, in quanto con i loro egoismi portano inevitabilmente i poveri e gli sbandati sulla via della violenza, per poi lavarsene le mani e goderne quando questi ultimi vengono condannati. La classe borghese, accusa Lado, si disinteressa del problema sociale e della violenza finché non ne viene contaminata direttamente. La società borghese è messa alla berlina dal regista a partire dalla “fauna” che popola il treno: nostalgici del nazismo, padri di famiglia voyeur, preti con tic nervosi, donne volgari e lascive: il treno diventa così un microcosmo nel quale lo spettatore può rinvenire le aberrazioni e le contraddizioni della nostra società.

E difatti, alla fine del film, sarà proprio l'”irreprensibile” padre della famiglia altolocata a dimostrare spietatamente quanto il discorso del suo ospite fosse vero: mentre i due balordi (aguzzini delle due ragazzine) possono infatti avere delle giustificazioni dal punto di vista sociologico (uno è un tossicodipendente schizofrenico, l’altro un piccolo criminale dedito a furti e percosse, ma che aborrisce e condanna lo stupro e l’omicidio), egli uccide per il solo gusto della vendetta, per riversare su altri (la classe inferiore) le proprie colpe e i propri piccoli delitti quotidiani. Il padre, interpretato da un superlativo Enrico Maria Salerno, vive una vita rispettabile ed è benvisto da tutti i membri dell’alta società, ma dietro alla facciata quotidiana tradisce ripetutamente la moglie e tiene quattro fucili nel garage della sua lussuosissima villa.

Un altro personaggio chiave del film, probabilmente anche più interessante del padre, è “la signora” del treno, interpretata da una magistrale Macha Meril. Questa, donna affascinante ben vestita e apparentemente composta, è in realtà una ninfomane sadica che, una volta stretta amicizia con i due balordi, gode nel propinare alle due ragazzine innocenti scene di sesso esplicito e nel vederle soffrire, arrivando addirittura al punto di percuotere violentemente il cadavere di una delle due, uccisa con un coltello impiantato nella vagina. Lado ribalta un cliché della tradizione cinematografica: l’apparente vittima dello stupro (“la signora”) non si strugge della violenza subita, ma anzi diventa la manovratrice delle azioni dei criminali che l’hanno brutalizzata: metaforicamente, Lado mostra come la borghesia si serve del proletariato e lo manipoli secondo le sue voglie perverse. Si noti come Lado alla fine del film mostra come “la signora” rimane immacolata nonostante tutti i suoi crimini: a pagarla sono solamente i due balordi (di bassa estrazione sociale e vestiti come due “giovinastri”), mentre a questa basta recitare la parte della vittima per pochi secondi per essere creduta e lasciata libera dal padre-vendicatore (forse perché riconosciuta dal medesimo come sua simile?).

Terzo personaggio borghese con il quale Lado mette in atto la sua spietata critica sociale è un signore distinto che, dopo aver goduto nel vedere le due ragazzine seviziate sul treno, si unisce addirittura alle aberrazioni della banda di criminali, stuprando lui personalmente una delle due, per poi svignarsela e telefonare in incognito alla polizia per denunciare i colpevoli, dopo aver telefonato al figlioletto per salutarlo come un perfetto padre di famiglia. Se ancora ci fossero dubbi, è evidente a questo punto il messaggio che il regista vuole passare allo spettatore: la violenza e l’aberrazione è insita nella natura umana ed è presente in qualunque individuo, sia che esso sia un borghese “rispettabile” sia che egli sia un balordo sbandato. Solo nel secondo dei casi, però, la falce della giustizia punirà il colpevole, che lascerà invece impuniti i creatori di questo “sistema della violenza”, vale a dire gli appartenenti alla classe borghese.

Rispetto a The Last House on the Left inoltre Aldo Lado riarrangia il plot secondo la tradizione italiana, pescando soprattutto da uno dei filoni più in voga in quegli anni, quello del poliziottesco: non è un caso se fonte di prima ispirazione per il regista – oltre al già plurinominato film di Craven – fu La polizia sta a guardare, film del 1973 di Roberto Infascelli, che vedeva nella parte del commissario-vendicatore (guarda caso) lo stesso Enrico Maria Salerno. Il filone poliziottesco è ripreso anche in diverse sequenze di violenza, soprattutto quella in cui i giovinastri percuotono un uomo vestito da Babbo Natale (prima scena del film, dal vago sapore kubrikiano) e quelle in cui i medesimi fanno scorribande sul treno reagendo con la violenza all’autorità dei controllori.

L’ultimo treno della notte, come si può ben capire anche da queste considerazioni, è un film altamente violento (sicuramente il più violento del regista) e assolutamente scioccante nelle sue scene di maggiore forza: colpisce soprattutto la scena notturna sul treno, nella quale in pochi minuti le ragazze vengono seviziate, stuprate e uccise. Rispetto a The Last House on the Left è doveroso sottolineare un maggiore impatto visivo, dovuto alla maestria di Lado alla fotografia e alle luci: è innegabile che negli anni settanta gli italiani sotto questo profilo meramente estetico avevano una marcia in più. Rispetto al capolavoro di Craven però è da registrarsi una prima parte un po’ lunga e noiosa, in cui la tensione non è ancora alta: probabilmente il risultato sarebbe stato ancora migliore tagliando una decina di minuti. Per la forte derivazione da The Last House on the Left il film non può essere considerato essenziale quanto il predecessore: tuttavia, in termini di qualità e di contenuti, siamo su un livello addirittura superiore. Sempre bella la colonna sonora di Ennio Morricone, che comprende un tema malinconico e nafasto suonato con l’armonica da uno dei due balordi.


Video:
Trailer del film.


Valutazione: 82/100


Film collegati:

Influenze:

Film ispirati:

Film simili:

The Last House on the Left (1972)

La polizia sta a guardare (1973)

La corta notte delle bambole di vetro (1971)

Chi l’ha vista morire? (1972)

La casa sperduta nel parco (1980)


4 commenti

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4 risposte a ““L’ultimo treno della notte” (1975)

  1. Il miglior film di Lado, che in seguito non si espresse più su questi livelli; il film è claustrofobico ed ha un cast eccellente, nel quale spiccano Macha Meril e Flavio Bucci, oltre al solito grandissimo Salerno.

  2. Laura

    che bella recensione 🙂 mi ha fatto pensare molto di più all’ipocrisia che condanna Lado.

  3. kosmiktrigger23

    Grande! tra l’altro, non sapevo che Milito avesse anche recitato!

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