“La bestia uccide a sangue freddo” (1971)


La bestia uccide a sangue freddo (conosciuto all’estero come Asylum Erotica o come Slaughter Hotel) è un film di Fernando Di Leo del 1971. Unico giallo/thriller del regista (con una struttura fondamentalmente krimi), commissionato dalla casa di produzione che voleva seguire il trend argentiano, il film è in realtà piuttosto noioso e quantomai inverosimile e assurdo nella trama e nella conclusione, ma proprio per la sua notevole componente trash è considerato dai fan del giallo all’italiana un cult del periodo. Incredibile pensare che il regista sia lo stesso di La mala ordina e Milano Calibro 9!


Trama:

La vicenda si svolge nella clinica per donne psicopatiche del dott. Oesterman (John Karlsen) e del suo assistente Francis Klay (Klaus Kinski). Qui si aggira un misterioso uomo incappucciato che compie indisturbato una serie di efferati omicidi: prima decapita un’infermiera nel giardino della clinica, poi pugnala Ruth (Gioia Desideri) nel suo letto mentre dorme, inoltre chiude all’interno di una Vergine di Norimberga (uno strumento di tortura simile ad un sarcofago di metallo pieno di spuntoni acuminati) l’autista Augusto che era riuscito a vederlo.

In seguito massacra Anna (Rosalba Neri), una paziente ninfomane che aveva appena consumato l’atto con il giardiniere, e infine colpisce con una balestra Claire (Jane Garret), una paziente agorafobica che stava avendo rapporti carnali con l’infermiera lesbica Helen (Monica Strebel). Il dr. Oesterman e il suo assistente Klay temono per il futuro della clinica e per questo tengono nascosti i delitti alle altre pazienti e cercano di minimizzare l’accaduto agli occhi della polizia. Quando però l’ispettore Korel, giunto nella fabbrica, si rende conto della situazione, li rimprovera aspramente e questi accettano di collaborare per catturare l’assassino.

Una paziente della clinica, la bella Charyl (Margaret Lee), la quale ha una mezza relazione clandestina con Klay, viene incaricata dall’ispettore di fungere da bersaglio al maniaco. Questi cade nella trappola e viene smascherato: si tratta del marito della medesima, suo socio d’affari, che la voleva far fuori per impossessarsi della direzione dell’impresa. Tutte le altre vittime le aveva uccise per depistare le indagini. Peccato che poi, prima di essere freddato dalla polizia, decida di ammazzare un’altra decina di pazienti con una palla ferrata rotante.


Commento:

Film talmente trash e sconclusionato di Fernando Di Leo – che in questo primo e unico tentativo dimostra ampiamente che il giallo/thriller non è decisamente il suo genere – da risultare per i fan più accaniti del genere una pellicola cult. Va bene che Bava e Argento non erano certo dei maestri di verosimiglianza, ma Di Leo ci mette dentro davvero di tutto per far risultare la trama assurda! Tra le altre cose: la vicenda sembra svolgersi in una clinica psichiatrica in cui tutte le pazienti sono delle strafighe allucinanti (e tra queste ve ne è una, agorafobica, che viene curata da un’infermiera lesbica tramite dei massaggi al sedere!).

Nel bel mezzo del manicomio, in una stanza comune aperta al pubblico, vi sono in bella mostra in una bella teca una serie di strumenti medievali di tortura: una falce, una scure, un coltello, una mazza ferrata, una palla ferrata rotante, un cappio e via dicendo. Poco lontano vi è addirittura una Vergine di Norimberga! Adesso, va bene tutto, ma non penso proprio che in un luogo in cui si presume che le pazienti soffrano di problemi mentali venga messa una così ampia gamma di strumenti d’offesa alla merce di tutti.

Ancora: l’assassino – che presenta il tipico binomio passo lentissimo più respiro affannoso – si prepara agli omicidi e li mette in atto in tutta tranquillità, con una lentezza pachidermica ed attraversando le stanze della clinica senza incontrare anima viva. Alla fine, quando si scopre la sua identità e la motivazione per la quale ha ucciso tutte quelle donne (ripresa peraltro da Nude… si muore di Antonio Margheriti, di tre anni prima), non si può fare a meno di notare l’assurdità di tale movente … anche perché da lì a poco egli ucciderà altre pazienti a caso giusto per il gusto di farlo, visto che ormai il suo unico vero bersaglio è in salvo! Inoltre, riflettendo un attimo, chiunque si rende facilmente conto che l’assassino avrebbe fatto meglio ad aspettare che Charyl fosse dimessa dalla clinica per poi inscenare un finto suicidio, visto che era stata internata proprio per manie suicide! Il finale comunque, nella sua esplosione splatter, è uno dei pochi momenti degni della pellicola.

Per il resto c’è molta noia. La trama è quella tipica di un krimi e non è nemmeno malvagia (anche se nell’era del giallo argentiano non era la soluzione più vantaggiosa per il bagaglino), la sceneggiatura invece è molto scarsa, piena di frasi scontate e di scene erotiche spesso al limite del patetico (si veda il balletto tribale della paziente di colore con l’infermiera lesbica, infinito oltre che imbarazzante). Gli omicidi sono abbastanza violenti anche se non si vede molto sangue. Le interpretazioni degli attori lasciano molto a desiderare, e persino Klaus Kinski appare spaesato in mezzo a tale scempio.

Da salvare perlomeno le atmosfere gotiche e la discreta colonna sonora di Silvano Spadaccino, che oltre ad un main-theme tipico dello sleazy all’italiana anni ’60/’70 ci offre un pezzo più ossessivo e psichedelico che Di Leo piazza puntualmente dietro a tutti i flashback dei personaggi e in ogni scena particolarmente cruenta. Per il resto c’è ben poco, ma mi sono sentito in dovere di dare perlomeno la sufficienza simbolica a questo piccolo gioiello trash del filone giallo all’italiana se non altro per la sua singolare bizzarria… Che poi anche lo stesso Di Leo l’abbia definito “ovvio e banale fino al cretinismo” poco importa!


Video:
Trailer del film.


Valutazione: 60/100


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