“L’uccello dalle piume di cristallo” (1970)


L’uccello dalle piume di cristallo (noto all’estero come The Bird with the Crystal Plumage o The Bird with the Glass Feathers) è il film con cui Dario Argento esordisce in modo autonomo alla direzione di un film. E’ uno dei film che più in assoluto codificarono le regole del genere del giallo all’italiana, di cui Argento fu uno dei maggiori esponenti. Il film diede inizio alla cosiddetta “trilogia degli animali”, che venne poi completata da Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio (1971); dopo la sua uscita, molti registi del filone giallo presero a inserire i più disparati nomi di animali nei titoli dei loro film. Il film è interamente girato a Roma, per lo più nel quartiere Flaminio.


Trama:

Sam Dalmas (Tony Musante), americano, vive a Roma, dove ha trovato lavoro grazie all’aiuto di un suo amico ornitologo, Carlo (Renato Romano). Una sera, di ritorno a casa, è testimone di un tentativo di omicidio in una galleria d’arte: assiste ad una colluttazione nella quale una donna cade a terra ferita. La donna è Monica Ranieri (Eva Renzi), moglie del direttore della galleria d’arte. Sul caso indaga il commissario Morosini (Enrico Maria Salerno), che è consapevole del fatto che l’attentatore è lo stesso che ha già ucciso tre donne nelle ultime settimane. Dalmas viene sentito come testimone e ammette di non ricordarsi un particolare che potrebbe essere decisivo ai fini delle indagini. Nel frattempo l’omicida uccide di nuovo: vittima è una ragazza di 28 anni che vive da sola (Rosita Toros). Quando Monica Ranieri viene dimessa dall’ospedale, Sam si reca a casa sua, ma trova solo il marito che gli spiega che Monica è sotto l’effetto dei sedativi e non può parlare.

Dalmas decide di indagare e si reca nel negozio di antiquariato dove lavorava la prima vittima: qui il titolare gli rivela che il giorno stesso dell’omicidio ha venduto uno strano quadro, che raffigura una violenza su una ragazza. Una sera Sam e la fidanzata Giulia (Suzy Kendall) subiscono un attentato, dal quale riescono rocambolescamente a fuggire. Stavolta però Dalmas è riuscito a vedere nel volto il suo assalitore. Dopo qualche indagine, riesce a scoprire dove abitata, ma quando arriva a casa sua lo trova morto. Intanto l’assassino telefona alla polizia, per annunciare che il prossimo omicidio avverrà entro breve, e poi a Sam per dirgli di lasciar perdere le indagini, minacciando di uccidere la sua fidanzata. Entrambe le telefonate vengono registrate e si giunge all’inaspettata conclusione che provengono da due voci diverse. In una delle due registrazioni si sente anche un rumore strano, ma nessuno alla polizia è in grado di identificarlo. Sam lo fa ascoltare a Carlo, che porta via con sé il nastro per studiarlo.

Quella notte l’assassino uccide a colpi di rasoio l’ennesima ragazza. Alla ricerca di indizi, Sam decide di andare a parlare col pittore autore del quadro che, con tutta probabilità, è stato comprato dall’assassino. L’artista è Berto Consalvi (Mario Adorf), un mezzo matto che si è ritirato come un eremita e che sta vivendo un periodo “mistico”. Consalvi svela a Dalmas che aveva dipinto quell’opera basandosi su un fatto realmente accaduto una decina di anni prima: una ragazza era stata aggredita e fu salvata per miracolo, mentre il suo aggressore fu rinchiuso in un manicomio. Mentre Sam sta tornando dalla visita, l’omicida attenta alla vita di Giulia; Sam entra nello stabile appena in tempo e l’assassino desiste e fugge.

Il giorno seguente Carlo giunge da Sam con una notizia: ha capito da dove proviene il rumore. È il verso di un raro volatile che vive solo nel Caucaso meridionale, chiamato comunemente «l’uccello dalle piume di cristallo». Fuori del Caucaso esiste un solo esemplare vivo, e si trova allo zoo di Roma. Subito Sam, Giulia, Carlo e la polizia si recano allo zoo per vedere il volatile. Giunti davanti alla gabbia, Sam nota come l’abitazione del marito della ragazza alla cui aggressione assistette sia proprio vicino allo zoo. I tre sentono delle grida provenire dall’edificio e si precipitano a vedere. Dopo aver sfondato la porta, trovano il gallerista d’arte e la moglie Monica nel bel mezzo di una colluttazione; liberano la donna e accerchiano l’uomo, ma questi cade dalla finestra e si fracassa la testa. Prima di morire, fa appena in tempo a confessare di essere lui l’autore di tutti i delitti.

Sam vuole cercare Monica per parlare con lei. Chiedendo ad alcuni passanti, entra in uno stabile apparentemente disabitato. Cercando a tastoni, si imbatte in Carlo, ma il suo corpo gli cade addosso: è stato pugnalato alla schiena. Poi sente una risata: è una donna nascosta nell’ombra, Monica, che impugna un pugnale. Sam lo vede e finalmente rammenta quel particolare decisivo che non era riuscito a ricordare davanti al commissario: nella colluttazione era la donna che aveva in mano il pugnale, e quindi era lei che voleva assassinare il marito. Quest’ultimo, per non abbandonarla, era poi divenuto il complice dell’assassina. La donna scappa e Sam la insegue; dopo aver attraversato un ingresso i due si trovano nella galleria d’arte dov’è cominciata tutta la storia. Monica fa accorrere Sam, quindi gli fa cadere addosso una scultura alquanto pesante che lo immobilizza, ma prima che lo colpisca viene fermata dal pronto intervento della polizia. Giulia era stata rapita dalla donna, ma era riuscita a liberarsi e a dare l’allarme.

Durante un’intervista ai telegiornali, lo psichiatra di Monica racconta la sua storia: dieci anni fa la donna venne aggredita da un maniaco e ne riportò un trauma. Un giorno, passeggiando per strada, vide esposto nella vetrina di un negozio di antiquariato il famoso dipinto dove era ritratta la scena di violenza e, in un istante, si risvegliò in lei la schizofrenia paranoica dalla quale credeva di essere guarita. Per uno strano processo mentale, ella si identificò non nella vittima, bensì nell’aggressore. Suo marito, per proteggerla, era divenuto anch’egli uno schizofrenico a tal punto da diventare suo complice. Il giorno seguente Sam e Giulia possono finalmente ripartire con l’aereo e tornare in patria.


Commento:

Per realizzare il suo primo lungometraggio, Dario Argento si ispirò alla novella di Fredric Brown La statua che urla e prese l’esempio da Mario Bava (La ragazza che sapeva troppo, ma soprattuttoSei donne per l’assassino) e codificò in maniera alquanto personale alcune caratteristiche del giallo all’italiana che, negli anni seguenti, fecero scuola tra tutti i registi che si cimentassero col genere. L’uccello dalle piume di cristallo è senza mezzi termini uno dei gialli più importanti e meglio realizzati dai registi nostrani, e insieme ad altri due-tre titoli di Argento rientra nel pantheon dei film del genere (nel quale compaiono di diritto anche Mario Bava, Lucio Fulci, Aldo Lado). Per dare un’idea dell’effetto che ebbe il film alla sua uscita, si pensi al fatto che persino Alfred Hitchcock espresse il suo plauso al genio di Argento! L’influenza che Dario Argento con questo suo primo film esercitò sui colleghi fu tale che esso fu seguito da una innumerevoli gialli nel cui titolo figurava il nome di un animale, di cui addirittura sei solo l’anno seguente: La coda dello scorpione (Sergio Martino), Una farfalla con le ali insanguinate (Duccio Tessari), Giornata nera per l’ariete (Luigi Bazzoni), L’iguana dalla lingua di fuoco (Riccardo Freda), Una lucertola con la pelle di donna (Lucio Fulci) e La tarantola dal ventre nero (Paolo Cavara).

Argento puntò innanzitutto su una maggiore estetizzazione della violenza e della paura: i suoi omicidi sono più efferati di quelli che al tempo si vedevano in film gialli/mystery, al punto che alcuni critici hanno considerato erroneamente le sue pellicole gialle-thriller come appartenenti al genere horror. Inoltre vi è anche una profonda ricerca stilistica: Argento denota un’attenzione quasi maniacale per la fotografia, per le inquadrature (la celebre inquadratura dal punto di vista dell’assassino, anche questa ripresa da Bava), per i colori, per gli ambienti dove le vicende si svolgono, per i più insignificanti particolari. Ed è proprio un particolare che l’assassino vede senza farci caso e senza successivamente riuscire a ricordare che grava sulla sua testa come una condanna di morte; in altri film successivi di Argento (Profondo rosso su tutti) verrà usato un espediente di questo tipo per rendere più avvincente la narrazione e più tormentato il personaggio del protagonista, che si eleva da comune cittadino a eroe per caso (anche questa una novità apportata da Argento e poi seguita da numerosi registi, tra i quali Massimo Dallamano e Aldo Lado). Altri topos che poi diventeranno ricorrenti nei film del regista (e non solo) sono: la voce minacciosa dell’assassino al telefono, l’abbigliamento del medesimo in latex nero, gli omicidi con una lama di rasoio, un disegno inquietante e un po’ infantile che sta alla base della risoluzione dell’enigma (così anche in Profondo rosso), e – naturalmente – lo sdoganamento del ruolo di killer al sesso femminile.

Ottimo il cast che Argento scelse per realizzare il suo primo lungometraggio: Tony Musante nella parte del protagonista appare convincente, così come Suzy Kendall (successivamente anche in I corpi presentano tracce di violenza carnale, Sergio Martino 1973 e Spasmo, Umberto Lenzi, 1974), che interpreta la sua fidanzata. Inoltre sono da ricordare: Enrico Maria Salerno nella parte di un commissario incompetente, Eva Renzi nel ruolo della mefistofelica Monica, Renato Romano in quella del professore di scienze naturali. Parti minori ma degne di nota per Mario Adorf, che impersona un pittore uscito di senno (e che sarà poi l’anno successivo nel cast di La corta notte delle bambole di vetro di Lado), Werner Peters, che interpreta un antiquario dai dubbi gusti sessuali e la vecchietta Maria Tedeschi (in seguito anche in Sette orchidee macchiate di rosso di Lenzi e in Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? di Carnimeo). Impossibile poi non nominare Reggie Nalder (presente ne The man who knew too much di Hitchcock) nella parte dell’assalitore con pistola e giubbetto da ex pugile. Dario Argento sfrutta bene anche i personaggi minori, spesso caratterizzandoli in modo caricaturale e semi-comico.

La colonna sonora di Ennio Morricone (non era ancora stato suggellato il sodalizio con i Goblin) è perfetta per il film, e unita alla fotografia spesso buia e onirica e alle situazioni quasi inspiegabili e paranormali crea nel migliore dei modi l’atmosfera del film. A voler essere pignoli, non tutto quanto accade nel film è verosmile: per esempio, perché se l’assassino è Monica il marito, quando viene aggredito da lei, fugge come un assassino – tra l’altro con il coltello in mano – invece che chiedere anch’egli l’aiuto di Dalmas? E come fa la polizia a intervenire nell’ultima scena irrompendo nella galleria d’arte se nella scena iniziale si capisce che la porta si può aprire solo dall’interno? Ma – come poi si vedrà meglio nei suoi lavori successivi – è noto che Argento privilegia l’estetica e la spettacolarità alla verosimiglianza, e non saranno certo questi piccoli particolari a inficiare il valore artistico e storico di una pellicola come L’uccello dalle piume di cristallo. Consigliato a tutti gli amanti del giallo e del thriller; potrebbe piacere inoltre anche a non pochi mainstreamers.


Curiosità (Wikipedia):

  • L’uccello del titolo, l’Hornitus Nevalis, non esiste ed è in realtà una comune gru coronata, Balearica Pavonina.
  • Il brano “Piume di cristallo”, facente parte della colonna sonora della pellicola, viene utilizzato nel film Death Proof di Quentin Tarantino nella sequenza in cui Kurt Russell spia le ragazze nel parcheggio, ma stranamente non è incluso nella relativa colonna sonora.
  • Nella sequenza in cui Sam Dalmas è inseguito dal misterioso individuo col giubbetto giallo (l’allora 64enne Reggie Nalder), passa davanti ad un cinema (il cinema Fiamma di Roma) dove stanno proiettando La donna scarlatta, film reale uscito nel 1969.
  • Alla sua uscita nelle sale italiane, nel febbraio 1970, il film venne accolto in modo abbastanza freddo nelle sale cinematografiche del nord Italia; andò meglio al centro e al sud. Poco a poco, il successo raggiunto nelle città meridionali creò anche al settentrione maggiore attenzione intorno al film; L’uccello dalle piume di cristallo recupera spettatori e inizia ad andare molto bene in tutta la penisola. Verrà rieditato per il grande schermo un anno e mezzo dopo, arrivando a degli incassi ancor più soddisfacenti.

Video:

Trailer del film.


Valutazione: 8.2

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