“Gatti rossi in un labirinto di vetro” (1975)


“Quello che ho visto era come un gatto rosso che mi passava davanti e spariva tra gli alberi.”

Gatti rossi in un labirinto di vetro (conosciuto all’estero come Eyeball) è un film del 1975, di produzione italo-spagnola e girato a Barcellona. E’ l’ottavo giallo diretto da Umberto Lenzi, in quanto successivo a Così dolce… così perversa (1969), Orgasmo (1969), Paranoia (1970), Un posto ideale per uccidere (1971) [che formano la quadrilogia psico-gialla], Il coltello di ghiaccio (1972), Sette orchidee macchiate di rosso (1972, probabilmente quello con cui ha più elementi in comune) e Spasmo (1974) [che con questo formano la quadrilogia thrilling]. Si tratta con tutta probabilità della pellicola più argentiana di Lenzi.


Trama:

Un gruppo di americani in gita a Barcellona si trova improvvisamente coinvolto in una serie di efferati delitti in cui un ignoto assassino uccide a coltellate giovani donne cui strappa poi l’occhio sinistro. La polizia sospetta, dopo avere a lungo brancolato nel buio, che l’omicida sia il pubblicitario Marc Burton, amante della signorina Paulette Stone. L’uomo, dal canto suo, ritiene che responsabile degli omicidi sia però sua moglie Alma, da tempo malata di nervi. Anni prima infatti, nel paese in cui la comitiva americana in gita abita, venne uccisa una ragazza e Marc trovò la moglie a terra priva di sensi, con un coltello in mano e un bulbo oculare poco lontano. Marc ha motivo di ritenere che la moglie Alma, ormai vicina al divorzio per volontà dell’uomo, si sia precipitata a Barcellona per scatenare la sua furia omicida verso tutte le donne della comitiva. Ma c’è un particolare che Marc non riesce a mettere a fuoco e che porterà alla risoluzione del caso…


Commento:

Ultimo giallo thrilling di Umberto Lenzi, che dopo il poker di psico-gialli tra fine anni sessanta e inizio anni settanta, conclude con questa pellicola la quadrilogia dei suoi gialli di stampo argentiano. E anzi Gatti rossi in un labirinto di vetro (insieme a Sette orchidee macchiate di rosso) è – fin dal titolo zoonomico – il più argentiano dei suoi titoli. I “gatti” a cui si fa riferimento nel titolo sono i componenti di una comitiva di turisti americani in visita a Barcellona, ai quali durante una giornata di pioggia viene regalato dalla guida spagnola un impermeabile rosso: lo spettatore capisce subito che l’assassino è uno di loro, in quanto ogni ripresa dei delitti mostra la mano brandente il coltello e la manica dell’impermeabile rosso. Il richiamo all’impermeabile rosso potrebbe essere una citazione di Don’t look now (Nicolas Roeg, 1973). Il “labirinto di vetro” a cui si accenna nel titolo potrebbe essere il pulmino sul quale la comitiva di americani si muove, ma più che altro – a visione ultimata – si capisce come il “labirinto” (come afferma un personaggio nel film) sia la situazione intricata in cui il gruppo di turisti si è ficcato (una specie di incubo alla “ten little niggers”), mentre il richiamo al vetro sia legato al movente del pazzo omicida, che non sveliamo per evitare spoiler.

Girato con pochezza di mezzi (forse il giallo più economico di Lenzi), Gatti rossi in un labirinto di vetro è però un thriller godibile e con un ritmo piuttosto sostenuto, che punta molto sulla messa in scena della diversa personalità dei personaggi nonché sulla particolare ferocia dei delitti: alle povere vittime infatti, una volta uccise, viene estirpato l’occhio sinistro. Lenzi dimostra qui come in nessun’altra sua pellicola gialla un certo gusto per il gore e per il grottesco, soprattutto nella scena dell’ultimo omicidio. Un’altra scena clou è quella in cui l’assassino uccide una bambina e la getta in pasto a dei maiali. Caratteristica peculiare di Gatti rossi è il fatto che gli omicidi non avvengono di notte o in interni, bensì all’aperto, in pieno giorno, alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti. E proprio l’atmosfera assolata di una ridente Barcellona, che stride così tanto con l’efferatezza dei delitti che si consumano nelle sue strade, rende così particolare questo film – in questo e anche sotto altri punti di vista, il film di Lenzi viene collegato al successivo Tenebre di Dario Argento (1982). A rendere l’atmosfera d’impatto contribuiscono anche le azzeccatissime musiche di Bruno Nicolai.

Ma per questo film Lenzi ha anche preso molto dalle pellicole di Dario Argento: il particolare della mano (il famoso “particolare che il protagonista non riesce a mettere a fuoco”, tipicamente argentiano) richiama L’uccello dalle piume di cristallo (1970), mentre la fotografia che ritrae casualmente l’assassino e che porta alla morte l’ignaro fotografo è ripresa da Il gatto a nove code (1971). La scena in cui una delle ragazze della comitiva viene uccisa selvaggiamente all’interno della “casa degli orrori” nel luna park di Barcellona è invece una citazione di Ragazza tutta nuda assassinata nel parco di Alfonso Brescia (1972). Interessante sottolineare che, a differenza di molti thriller di quel periodo (anche di Lenzi) in cui alla fine si scopre che l’assassino è il prete di turno, qui il prete (interpretato da un sempre bravo George Rigaud, veterano del genere) è presente ma non è il colpevole – anche se il regista fa di tutto per farcelo credere, fino appena prima la sequenza finale. Per quanto riguarda l’elemento erotico, è da segnalare la presenza nella comitiva di una coppia lesbica che si esibisce in qualche effusione, oltre a mostrare qua e là il seno nudo.

Dal punto di vista dei lati negativi, bisogna notare realisticamente come la sceneggiatura sia piena di buchi più o meno evidenti. La suspance non raggiunge mai un livello elevato e anzi sembra volutamente spezzata dal regista tramite il ricorso a gag quasi da commedia che vedono i vari personaggi (la coppia di lesbiche, il riccone texano, il prete, la coppia in crisi) come protagonisti. Il movente dell’assassino, poi, rasenta quasi il ridicolo, anche se l’impatto visivo della scena in cui si scopre l’identità del killer è indubbiamente apprezzabile. Ma queste mancanze vengono in fin dei conti compensate dalle trovate originali del regista (oltre alle scene già menzionate, è doveroso ricordare anche la stanza d’albergo deserta prenotata a nome della moglie del protagonista e il fatto che l’assassino spesso non riesca a concludere i suoi assalti, cosa molto rara nei film di questo genere). Tra gli attori merita un accenno il simpatico commissario prossimo alla pensione (Andres Mejuto), mentre il protagonista Mark Burton appare troppo monoespressivo; meglio la coprotagonista, l’amante Paulette, interpretata da Martine Brochard.


Video:
Trailer del film.


Valutazione: 72/100


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Influenze:

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Film simili:

L’uccello dalle piume di cristallo (1970)

Il gatto a nove code (1971)

Ojos azules de la muneca rota (1973)

Don’t look now (1973)

Tenebre (1978)

Il coltello di ghiaccio (1972)

Sette orchidee macchiate di rosso (1972)

Spasmo (1974)


1 Commento

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Una risposta a ““Gatti rossi in un labirinto di vetro” (1975)

  1. Daris

    Buon giorno, il film non e’ del 1975 ma del 1974 visto censura n° 65675 del 13/12/1974. Grazie e buona visione del film

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