“La Corta Notte delle Bambole di Vetro” (1971)


“Niente deve cambiare”

Il regista italo-croato Aldo Lado è noto al pubblico del cinema di genere soprattutto per aver realizzato tre film: il suo esordio cinematografico La Corta Notte delle Bambole di Vetro (conosciuto anche con il titolo Malastrana e all’estero come The Short Night of the Glass Dolls o Butterfly of Night), che è anche il suo capolavoro, il successivo Chi l’ha vista morire? (1972) e l’horror-slasher L’ultimo Treno della Notte (1975). La Corte Notte delle Bambole di Vetro è un giallo all’italiana che però vira singolarmente verso il thriller cospirazionistico, sottogenere che prese piede a partire dalla metà degli anni Sessanta grazie alla clamorosa “trilogia degli appartamenti” di Roman Polanski (Repulsion, 1965; Rosemary’s Baby, 1968; Le Locataire, 1976) e che venne importato in Italia prima da Aldo Lado e in seguito da Francesco Barilli (Il Profumo della Signora in Nero, 1974). Il film, ambientato a Praga ma girato prevalentemente a Zagabria, presenta cupe atmosfere polanskiane e si consacra come uno dei punti più alti mai raggiunti dal thriller italiano.


Trama:

Il giornalista americano Gregory Moore (Jean Sorel) viene trovato esanime in un parco a Praga, città nella quale si trova per lavoro. Apparentemente morto agli occhi dei medici, che ne rinchiudono il corpo in una cella dell’obitorio, Gregory è in realtà ancora cosciente, sebbene il suo battito cardiaco si sia arrestato e non riesca a fare il benché minimo movimento. Gregory cerca di unire ad uno ad uno i tasselli che l’hanno portato in questa grottesca situazione e, in mezzo a spezzoni confusi di flashback, ricorda che fu la scomparsa della fidanzata Mira (Barbara Bach) a dare inizio alle sue disgrazie. Una notte infatti, rincasando da un ricevimento dell’alta società della città, Gregory si rende conto che di Mira non c’è traccia, sebbene questa abbia lasciato i suoi vestiti e i suoi documenti nel suo appartamento. Così, coadiuvato dal collega Jacques (Mario Adorf), inizia ad indagare sul mistero della scomparsa di Mira.

Proprio in quei giorni infatti viene trovato sulla riva di un canale della città un cadavere di una giovane donna: Gregory viene chiamato sul luogo dalla polizia per il riconoscimento del cadavere, ma fortunatamente non si tratta di quello di Mira. Gregory tuttavia è insospettito quando viene a conoscenza delle numerose sparizioni di giovani ragazze avvenute a Praga negli ultimi anni. Tuttavia, quando fa visita ai genitori delle medesime per racimolare particolari utile alla sua indagine, trova di fronte a sé un impenetrabile velo di omertà. Solo un vecchio si dimostra disposto a svelargli qualcosa ma, prima che possa rivelare alcunché, viene ucciso da un misterioso uomo che pedina Gregory; tuttavia, frugando nella sua giacca, Gregory trova la tessera di un circolo dell’alta società chiamato “Klub 99”. Nel frattempo un cieco a cui Gregory ha fatto visita gli fa capire di essere a conoscenza di alcuni segreti sulla misteriosa scomparsa delle ragazze e rivela a Jacques che il “Klub 99” è in qualche modo implicato.

Tuttavia nemmeno Jacques farà a tempo a riferire quanto appena scoperto a Gregory, dal momento che viene anche lui ucciso dallo stesso sicario di cui sopra. Quest’ultimo tenta di uccidere anche Gregory spingendolo giù da un ponte in un canale; Gregory riesce comunque a raggiungere la riva e a salvarsi. La polizia però non tollera i suoi interventi nelle indagini, e addirittura il commissario gli consiglia in modo minaccioso di rimanerne fuori. Ma Gregory è ormai certo che la soluzione del caso sia all’interno del “Klub 99” e decide di introdurvisi furtivamente. Una volta entrato, Gregory prima trova il corpo di Mira all’interno di una cella, in uno stato di trance del tutto simile a quello in cui si troverà lui stesso nel giro di poche ore, poi assiste ad un orgia collettiva da parte degli affiliati del club (tutti membri dell’élite della città) che si conclude con il sacrificio di Mira.

Gregory capisce dalle formule recitate dagli affiliati che il “Klub 99” è la sede dei raduni di una setta massonica segreta, che esiste in tutte le maggiori città internazionali. Il loro obiettivo è quello di mantenere il potere economico e politico nelle mani di una ristretta casta elitaria, formata dai più potenti finanzieri, politici ed imprenditori. Essi praticano inoltre riti esoterici durante i quali sacrificano le giovani ragazze che si rifiutano di partecipare alle orge e ai riti della setta. La setta è inoltre così potente da esercitare una sorte di supervisione di tutte le indagini della polizia, al punto da non farsi scrupoli ad uccidere i testimoni scomodi. Il film si conclude con Gregory che viene portato su un lettino operatorio e viene ucciso subendo, di fronte ad una platea di spettatore, l’incisione del cuore attraverso l’uso di un bisturi da parte di un noto chirurgo, nonché sacerdote della setta.


Commento:

Pescando a piene mani da Rosemary’s Baby (per inciso anche lo score musicale di Ennio Morricone – splendido come sempre – ricorda non poco il main theme del capolavoro di Polanski) ed anticipando molti thriller cospirazionistici a venire (Il Profumo della Signora in Nero di Francesco Barilli, ma soprattutto Society – The Horror di Brian Yuzna, 1989), Aldo Lado con La Corta Notte delle Bambole di Vetro riesce a dare una propria originale interpretazione del filone del giallo all’italiana, mantenendo lo scheletro narrativo di base ma conferendogli linfa nuova grazie ad alcune interessantissime innovazioni, sia a livello narrativo che a livello stilistico. Come in ogni giallo all’italiana che si rispetti, anche qui c’è la vittima (femminile, come sempre), c’è il classico protagonista che indaga per i fatti suoi (un Jean Sorel al suo apice interpretativo in film di questo genere), c’è la polizia che non solo non capisce ma in questo caso non vuole nemmeno capire. A fare da contorto a tutto ciò Lado filma in maniera brillante una Praga (o Zagabria, come abbiamo già accennato) spettrale e sinistra, che sembra lei stessa fungere da grembo fertile per le sette massoniche che si annidano nei suoi vicoli bui.

Notevole, sul piano della narrazione, il fatto che il film parte quasi dalla fine, per poi ritornare indietro nel tempo, attraverso i ricordi del protagonista, e quindi giungere nuovamente al punto di partenza. Sul piano stilistico, è d’obbligo riconoscere l’efficacia di una fotografia originale e perennemente buia, dal momento che anche le scene girate di giorno sono dominate dal cielo grigio e dall’atmosfera nebbiosa e rarefatta che permea Praga (così come anche la Parigi di Le Locataire di Polanski); molto efficaci sono anche i flashback frammentari che giungono di tanto in tanto alla mente del protagonista, sequenze di immagini a metà tra la realtà e l’incubo onirico che si trasformano in veri e propri deliri allucinatori. C’è da ricordare anche che curiosamente, sempre nel 1971, Sergio Martino diresse Tutti i Colori del Buio, film che presenta molti tratti in comune con La Corta Notte delle Bambole di Vetro pur concludendosi in maniera leggermente diversa (sotto questo punto di vista, il finale più vicino a quello del film in questione è forse quello de Il Profumo della Signora in Nero).

In risalto per quanto riguarda l’interpretazione degli attori, la condizione di alienazione del protagonista (un ottimo Jean Sorel) che si ritroverà poi in diversi thriller a seguire (prima fra tutti Don’t look now di Nicolas Roeg, 1973, ambientato in una Venezia che per molti versi ricorda le ambientazioni della Corta Notte). Sul piano della tematica, risulta invece evidente un forte obiettivo di critica sociale verso le élite politico-economiche che tramando nell’ombra reggono le redini della società mondiale, richiamando alcune teorie cospirazionistiche sdoganate da numerosi studiosi in tutto il mondo (si cerchi a proposito notizie sugli Illuminati e sulla Skull and Bones 322 – ma anche sull’italianissima loggia massonica P2). Si noti che il numero contenuto nel nome del club è 99, che – come viene detto nel film – rappresenta la morte; si noti anche che ribaltandolo si ottiene il numero 66, che come si sa ha un significato satanico.

Si noti come tutti gli appartenenti alla setta del “Klub 99” sono anziani detentori del potere politico ed economico: in questo c’è anche una forte critica ad un sistema fondato sul desiderio di mantenere stabilmente il potere nelle mani di una casta ristretta, destinata a tramandarlo generazione dopo generazione ai propri discendenti; non è un caso se nel film i giovani vengono visti dai membri della setta quasi come degli oggetti senza alcun diritto, paragonabili a delle farfalle che pur avendo le ali non hanno la possibilità di volare. Brian Yuzna, quando diresse quasi vent’anni dopo Society – The Horror, si disse molto sorpreso del fatto che nessun regista avesse in precedenza trattato un argomento simile in un film horror: obiettivamente appare poco realistico che non conoscesse La Corta Notte delle Bambole di Vetro, dal momento che le similitudini sono davvero troppe ed il finale dà quasi l’impressione di essere una sorta di remake aggiornato ai tempi dei deliri carnali di Cronenberg. Il luogo di culto, i riti esoterici che la setta esercita e il profilo medio degli affiliati dalla setta verranno in qualche modo richiamati (volutamente?) anche dalle atmosfere di Eyes Wide Shut (Stanley Kubrick, 1999).


Video:

Trailer del film.


Valutazione: 8.8

3 commenti

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3 risposte a ““La Corta Notte delle Bambole di Vetro” (1971)

  1. Per quanto stimi Lado, questo film è confuso e poco affascinante.
    Nettamente superiori sono L’ultimo treno della notte e sopratutto Chi l’ha vista morire.
    Comunque un film che si può vedere, se si guarda alla media dei thriller del periodo

    • Non sono d’accordo: secondo me tra i tre thriller d’annata di Lado “La corta notte” è il titolo più meritevole. Senza nulla togliere al valore degli altri due, bisogna rilevare che “Chi l’ha vista morire” soffre di una seconda parte confusionaria e non all’altezza della prima e termina in un finale poco chiaro e piuttosto avventato. In quanto a “L’ultimo treno”, uno dei migliori rape&revenge in circolazione, non può essere considerato il capolavoro di Lado semplicemente perché troppo derivativo da “Last house on the left”: il risultato è ottimo – come preciso anche nella mia recensione – e il messaggio è molto forte, ma l’esecuzione delle scene si riduce spesso ad un puro manierismo del predecessore di Craven (scene rippate quasi al 100%, sebbene visivamente migliori e più forti).

      M

  2. Enrico Palumbo

    Una coinvolgente pellicola che denuncia lo strapotere della Massoneria a livello mondiale. Tema quanto mai attuale e incandescente.
    Non conoscevo Aldo Lado, ma credo che attraverso questa scelta abbia dimostrato coraggio e onestà (sappiamo chi controlla Media e Informazione…), meritandosi tutta la mia ammirazione!

    Enrico

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