“Perché quelle strane Gocce di Sangue sul Corpo di Jennifer?” (1972)


Il regista barese Giuliano Carnimeo è maggiormente noto al pubblico per i suoi spaghetti western che altro, ma Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? (conosciuto all’estero come The Case of the Bloody Iris) è un ottimo prodotto del filone giallos all’italiana, che si piazza a conti fatti tra Sergio Martino (Lo strano vizio della signora Wardh, 1971) e Mario Bava (Sei Donne per l’Assassino, 1964), con citazioni floreali di Umberto Lenzi (Sette Orchidee Macchiate di Rosso, 1971) ed anticipando in qualche modo il migliore Andrea Bianchi (Nude per l’Assassino, 1975).


Trama:

I due protagonisti della vicenda, resi famosi dai lungometraggi del genere di Sergio Martino, sono la procacissima Edwige Fenech e lo statuario George Hilton: la prima fa la parte di Jennifer, una fotomodella un po’ inibita dopo un passato di orge hippie con l’ex marito, ora tossicodipendente; il secondo è Andrea, un architetto in cerca di belle ragazze per uno spot pubblicitario, che guarda caso alla fine punterà proprio la Fenech.

Il film inizia in medias res con il primo omicidio: la vittima è una prostituta bionda, che viene pugnalata a sangue all’interno dell’ascensore di un condominio (la scena viene incredibilmente citata da nientepopodimeno che Brian De Palma, in Vestito per Uccidere, del 1980!). Il killer, che visivamente è preso pari pari da Sei Donne per l’Assassino di Mario Bava, è quello classico: impermeabile scuro, guanti di pelle, cappellaccio, passamontagna nero sul volto… e ovviamente lama scintillante sempre alla mano. Contemporaneamente l’architetto Andrea si guarda intorno per trovare una bella ragazza con la quale sponsorizzare i suoi appartamenti.

Consigliato da Arthur (Oreste Lionello), un gayissimo fotografo dell’agenzia a cui si rivolge, Andrea mette gli occhi su Mizar (la solita Carla Brait), una modella negra (così si usava dire ancora nei film negli anni Settanta…) che lavora part-time come spogliarellista-lottatrice in un night club per soli uomini. Ma una sera Mizar, dopo aver fatto il suo numero ed aver cenato con Andrea per parlare dello spot pubblicitario, viene sorpresa nel suo appartamento dal misterioso killer, il quale la mette KO e, dopo averla legata con della corda, la lascia annegare nella vasca da bagno sotto i suoi occhi compiaciuti – in una sequenza che ricorda tantissimo la scena iniziale di Nude… si muore (Antonio Margheriti, 1968) e che verrà poi ripresa in Cosa avete fatto a Solange? (Massimo Dallamano, 1972).

La polizia ovviamente brancola nel buio, tanto è vero che inizialmente ipotizza che il killer sia proprio Andrea, dal momento che i due omicidi sono avvenuti proprio nel condominio in cui si trovano i suoi appartamenti. Intanto, Jennifer e la sua svampita amica Marilyn (Paola Quattrini), scritturate da Andrea in seguito all’improvvisa morte di Mizar, vanno ad abitare per gentile concessione dello stesso Andrea nell’appartamento appena lasciato “libero” dalla defunta. Qui Jennifer si troverà aggredita per ben due volte dal misterioso killer in passamontagna; contemporaneamente la poveretta viene anche assilata dall’ex marito, il quale nella speranza di rinverdire le orge passate le lascia qua e là dei fiori d’iris per strada e nell’appartamento. Tuttavia quest’ultimo diventa la terza vittima dell’assassino e viene trovato morto (e al solito insanguinato) nell’armadio dell’appartamento di Jennifer.

La quarta vittima del maniaco è proprio Marilyn, che viene accoltellata per strada dopo aver finto dinanzi a Jennifer e ad Andrea di essere aggredita nel bagno dell’appartamento; si noti come nessuno dei passanti si accorge del sangue che sgorga dal ventre di Marilyn finché questa, allo stremo delle forze, si getta a peso morto su Andrea, insanguinandogli il trench. Il poliziotto incaricato di pedinarlo (Franco Agostini) – come nella migliore tradizione del poliziottesco all’italiana – non capisce nulla e addita lo stesso Andrea come il killer della ragazza. Andrea si difende di fronte al commissario Enci (Giampietro Albertini) dicendo di non poter essere lui il killer dal momento che, in seguito ad un trauma infantile, cova una fobia per il sangue; ma per il commissario questo particolare non è che una prova a suo carico.

Intanto, mentre il commissario Enci è più preoccupato a collezionare francobolli ed il suo sicario pedinatore ne combina di cotte e di crude, si stringe il cerchio intorno all’assassino, che può a questo punto essere: o lo stesso Andrea; o Isaac, un anziano violinista che vive nell’appartamento vicino a quello degli omicidi; o Sheila, la figlia lesbica di Isaac; o la vecchietta bigotta e schizzata del pianerottolo di fronte. Jennifer, con molta arguzia, nota che la vecchietta compra molto spesso fumetti dell’orrore che porta poi nel suo appartamento, dal quale Jennifer sente ogni tanto provenire voci strane. Così, introdottasi furtivamente in esso, scopre che la vecchia alleva all’oscuro del mondo esterno un figlio sfigurato da un incendio, e dopo essere aggredita dal medesimo lo denuncia alla polizia che, ovviamente, una volta giunta sul luogo non lo trova e dubita della sanità mentale di Jennifer.

Jennifer riceve una telefonata da Andrea, fuggitivo alla polizia, il quale gli dà appuntamento in un cimitero delle auto (poco romantico, ma tant’è). Giunta sul luogo però, a causa della presenza del poliziotto pedinatore, non riesce ad incontrarsi con lui, così decide di tornare al condominio, dove incontra Sheila, la quale le fa una corte spietata. Le due entrano in ascensore, ma questo anziché salire scende misteriosamente nello scantinato, dove Sheila viene colpita da un getto d’aria calda che la sfigura e la uccide. Compare improvvisamente Andrea che dice a Jennifer di averla seguita, ma lei è convinta che sia lui l’assassino e così anche la polizia, che seguendo Andrea è giunta in men che non si dica nello scantinato.

La polizia avverte Isaac, padre di Sheila, della tragica morte della figlia e quest’ultimo per la disperazione inizia a suonare un’aria drammatica con il suo violino. Intanto Jennifer, risalita nel suo appartamento, sta facendo le valigie quando viene aggredita: istintivamente, sentendo la musica proveniente dall’appartamento vicino, si fionda dal vecchio Isaac per chiedere aiuto, ma, invece che il violinista, vi trova il cadavere del figlio demente della vecchia bigotta del pianerottolo di fronte ed un nastro registrato che riproduce l’aria di violino. Arriva quindi l’assassino che si scopre essere proprio il vecchio Isaac, il quale ha ucciso tutte le ragazze perché, a detta sua, hanno fatto diventare sua figlia lesbica, ed il figlio deforme della vecchia perché una sera l’aveva colto sul fatto mentre spiava sua figlia.

In un finale al fulmicotone, accorre improvvisamente il solito Andrea che (liberatosi non si sa come dalle grinfie dell’ottusa polizia), fa appena in tempo a salvare Jennifer da morte certa. In un corpo a corpo finale con Isaac, inoltre, egli rivive il suo trauma infantile, spiegando la sua fobia del sangue con l’incidente a cui aveva assistito da bambino nel quale era deceduto il padre. Così, sullo slancio della disperazione per il ricordo della morte paterna, colpisce Isaac e grazie ad un colpo di reni lo scaraventa giù per la tromba delle scale, decretando così la sua morte.


Commento:

Regista esperto nello spaghetti western prima e nella commedia sexy all’italiana poi, Giuliano Carnimeo tra i due filoni ai quali dedicò principalmente la sua (fruttuosa) carriera, trovò anche il tempo (e l’ispirazione) per realizzare questo giallos all’italiana, che si candida come uno degli esempi più calzanti del genere stesso. Sulla scia di Sei Donne per l’Assassino di Mario Bava, a partire come detto dall’estetica del killer stesso, Carnimeo inanella una serie di omicidi più o meno cruenti nell’ambito circoscritto di un condominio, mettendoci dentro, fedele all’esempio bavaiano, anche qualche disinibita modella.

Soprattutto la prima parte del film è strettamente legato al binomio thriller-erotismo tanto caro a Sergio Martino (e in seguito a Massimo Dallamano e ad Andrea Bianchi): nelle prime scene abbiamo infatti l’occasione di ammirare ogni ben di Dio, a cominciare dalle forme di una Fenech in formissima (che per l’occasione vengono pitturate con della vernice) e di una Paola Quattrini comunque valida nel suo ruolo (l’amica svampita e quasi ninfomane della Fenech), per poi passare allo pseudo-sadomasochismo dello spettacolino erotico di Carla Brait, che fa la parte della lottatrice negra un po’ masochista nel prendere a calci negli attributi i clienti del night club in cui esercita il suo numerino.

Carnimeo sembra voler continuare sulla stessa scia, dal momento che ad ogni occasione ci mostra il davanzale della Fenech in stile vedo-non vedo (prima durante un servizio fotografico in cui indossa solo una sottoveste trasparente, poi durante un flashback di una delle sue orge passate con una setta hippie free-love, infine dopo che, aggredita nel suo appartamento, cerca rifugio in quello di Sheila con addosso unicamente uno smilzo reggiseno semi-trasparente). La scena dell’orgia hippie pseudo-psichedelica, si noti, è ripresa in modo più o meno spudorato dal seminale Una Lucertola con la Pelle di Donna (Lucio Fulci, 1971) ed ispirerà a sua volta Sergio Martino in Tutti i Colori del Buio (e guarda caso anche qui unica partecipante femminile sarà proprio la Fenech) dell’anno seguente.

La figura dell’ex-marito tossico, tanto cara alla tradizione del giallos all’italiana, è in parte ripresa dal personaggio interpretato da Ivan Rassimov ne Lo strano vizio della signora Wardh (Sergio Martino, 1971, anche in questo caso ai danni della Fenech) e verrà ripresa anche in una manciata di film seguenti (nei quali, a dispetto dell’ovvia trappola tesa dal regista, non si rivelerà mai essere l’assassino). Ancora: la figura del figlio storpio-demente verrà ripresa in modo pedissequo da Antonio Bido in Solamente Nero (1978) e da Dario Argento in Phenomena (1985). Ancora Argento in Suspiria (1977) e Umberto Lenzi in Sette Orchidee Macchiate di Rosso (1972) riprendono l’idea del fiore come elemento centrale della narrazione. In base a queste considerazioni, appare evidente come Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? si ponga nel bel mezzo della tradizione gialla italiana, ora prendendo in prestito qualche idea, ora gettandone altre per le pellicole future.

Merito assoluto di Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? è senza dubbio la fotografia, qui affidata ad un maestro come Stelvio Massi (autore di poliziotteschi ma poi abile nello sfruttare le idee di Carnimeo nel suo giallos all’italiana, Nude per l’Assassino, coadiuvato dalla solita Fenech). La fotografia appare infatti notevole pressoché in ogni scena, soprattutto negli interni, anche nelle riprese al buio (merito non comune in questo genere di pellicole). Carnimeo, seguendo la moda del filone, pone le disinibite attrici all’interno di appartamenti sgargianti arredati secondo il gusto della pop-art e permettendo a Massi di giocare molto con specchi e altre superficie riflettenti nelle sue mirabolanti riprese.

Altro merito della pellicola, è riuscire a far mantenere nella mente dello spettatore il dubbio sull’identità dell’assassino fino all’ultima scena: fino a quando il killer non si toglie il passamontagna, infatti, si potrebbe dubitare di Andrea, del violinista Isaac come della vecchia bigotta del pianerottolo di fronte (la quale avrebbe un movente molto più serio di Isaac, in quanto è convinta che sia colpa delle varie “puttanelle” se il suo povero figlio sfigurato non viene accettato nel mondo esterno. E fino a solo una scena prima, l’assassino potrebbe essere anche lo stesso figlio demente e persino la lesbica (frustrata perché continuamente respinta) Sheila. Poco importa l’estrema caricaturizzazione dei personaggi e i dubbi sulla veridicità del vecchio Isaac nei panni dell’assassino e del suo movente: il film, volutamente un po’ trash un po’ glam, si inserisce alla perfezione nella migliore tradizione del giallos all’italiana.

Da parte loro gli attori interpretano più che bene le loro parti. Il trittico Fenech-Brait-Quattrini fa a gara a mostrare le nudità e ad apparire quanto più disinibite possibile (con un’ovvia vittoria della Fenech, anche se c’è da dire che la Brait appare qui più convincente che altrove – Torso, Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave – probabilmente anche per merito del suo “numero” nel night club). George Hilton, al solito statuario e un po’ marpione, appare più algido rispetto ad altre pellicole (Lo strano vizio della signora Wardh, Il Dolce Corpo di Deborah, La Coda dello Scorpione) ma fa comunque bene il suo lavoro.

Ottime le prestazioni di George Rigaud nei panni dello schizofrenico violinista, una sorpresa per tutti visto che Rigaud è ricordato principalmente nei panni dello psicologo (Una Lucertola con la Pelle di Donna, Tutti i Colori del Buio) e della vecchia bigotta del pianerottolo di fronte. Esilaranti e perfettamente calati nella parte anche il due Albertini-Agostini nei panni di uno scellerato commissario e del suo fedele (ma imbranatissimo) assistente: una coppia tipica del poliziottesco all’italiana. Un po’ inadeguato a parer mio Ben Carra nei panni dell’ex marito di Jennifer, ora diventato tossicodipendente nonché persecutore della medesima: appare ovvia una mia preferenza nel ruolo in questione per il ben più navigato Ivan Rassimov, ma forse qui si scade nella preferenza soggettiva. In generale comunque il film funziona bene e, anche se invero carente di reale tensione e paura (come però in molti film del filone), svolge bene la sua funzione di intrattenimento, grazie ad un elevato stile eurotrash anni Settanta.


Video:
Trailer del film.


Valutazione: 8.0

1 Commento

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Una risposta a ““Perché quelle strane Gocce di Sangue sul Corpo di Jennifer?” (1972)

  1. Francesco

    Ciao a tutti grande film, peccato che le copie del film che circolano abbiano una resa del colore molto scadente ,forse per cattiva conservazione del negativo o forse per difetto d’origine ; altro grosso difetto ,direi grossolano è che si riesce a capire chi sia l’assassino al 2° minuto del film(occhio alle mani di chi accende il motore dell’auto)

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